giovedì 28 febbraio 2013

"Fortuna , il buco delle vite" di Jolanda Buccella


Oggi parliamo del romanzo edito da Ciesse Edizioni  “Fortuna, il buco delle vite” di Jolanda Buccella, giovane esordiente, studentessa di relazioni internazionali a Milano dove si è trasferita da poco .


Alla presentazione del suo libro qui a Milano ho avuto la possibilità di intervistare Jolanda 

1)     Cara Jolanda,  raccontaci il tuo approccio con il mondo dei libri, e le motivazioni che ti hanno spinta a  scegliere di scrivere.

 Ho sempre amato la letteratura, anche a scuola prediligevo le materie letterarie a quelle scientifiche .Però quando ho cominciato a scrivere non pensavo ad un romanzo, non scrivevo per la pubblicazione ma per me stessa, per aiutarmi in un periodo di stallo con l’Università . Questo romanzo è un sogno che si realizza.

                           

2)     Ci sono degli autori a cui ti ispiri e dei libri che preferisci in modo particolare?

 In realtà vorrei non assomigliare a nessuno , vorrei che i lettori riconoscessero una cifra stilistica solo mia, ma ovviamente il mio modo di scrivere risente delle mie letture, tra cui i miei beniamini sono Oriana Fallaci, Isabel Allende, e poi i grandi Tolstoij e Flaubert

 

3)     Cosa ami della letteratura classica e cosa della contemporanea? E a quale delle due ti senti più legata?

 Sicuramente mi sento più legata ai classici, con però un occhio anche agli emergenti e alle novità editoriali. I romanzi che preferisco sono quelli come “Guerra e pace” perché sono ricchi di ideali e contrastano con il relativismo moderno.

 

4)     Cos’è per te il tuo libro ?

 Molti quando dopo aver letto il libro mi chiedono se è autobiografico. No, non lo è se non in minima parte, nella descrizione dei luoghi dell’infanzia della protagonista. Anche se ovviamente quando scrivi c’è una parte di te che rimane nelle righe del tuo libro, e anche per questo motivo hai dei ripensamenti , perché finché non lo vedi stampato, il tuo libro, non ti rendi davvero conto di quanto hai scritto.

La forza emotiva, un percorso di vita travagliato, questo forse è quanto di me ho donato a Fortuna.

 Il resto è fantasia per quanto riguarda la storia, ma dato reale per la Storia. Il libro l’ho scritto in un arco di tempo di cinque anni, che mi sono serviti anche per documentarmi sulle vicende politiche del Ruanda, che per altro nemmeno io avrei conosciuto se non le avessi incontrate per i miei studi di relazioni internazionali.

Gli argomenti che tratto, i temi così forti mi hanno sempre interessato molto. Sono una donna, e come tale sono attenta al nostro ruolo e ai nostri problemi nella società. La volenza che Fortuna subisce , le sue malattie , sono tutti argomenti che sento molto vicini a me.

 

5)     Scrivere per te è un mestiere? Se per ora non lo è, vorresti che lo diventasse?

No, non è un mestiere ma mi piacerebbe che lo diventasse. Per ora è una passione, ma magari potrei riuscire a realizzare questo sogno
 

6)     Cosa pensi del Mercato Editoriale odierno?

 
Penso che se hai la fortuna di scrivere un romanzo d’esordio che viene pubblicato da una grande casa editrice e ottiene successo poi la strada è in discesa. Altrimenti per un autore emergente è tutta una salita, perché gli esordienti non hanno molto spazio nella grande distribuzione. Anche se bisogna tenere conto che non sempre il nome di una grande casa editrice è sinonimo della qualità dei suoi libri.

 

7)     Progetti per il futuro?  

 Sto progettando un nuovo romanzo ma diverso da “Fortuna” , anche se accomunato da tematiche sociali, a me molto care. Penso che verterà sul bullismo femminile adolescenziale.

 
Recensione

 
Fortuna è l’incarnazione di  un grandissimo messaggio positivo : c’è sempre una forza più grande di noi che ci porta ad andare avanti anche quando si pensa di aver toccato il fondo”   

 
In copertina, in un prato fiorito,  una ragazza vestita di bianco. Bianco come la neve,  che Fortuna ama tanto per la sua leggerezza così in contrasto con il corpo malato che deve trascinarsi dietro dalla nascita.

Si dice che si viva una volta sola.

Non è vero.

Bisogna solo avere la possibilità di ricominciare.

E la forza di ricominciare.

Fortuna ha entrambe e così riesce a moltiplicare la sua vita, vivendone tre nello spazio di una.

Tre passi  nel senso dantesco del termine, ovvero tre momenti critici che impongono alla protagonista delle svolte radicali che le danno la possibilità di cominciare una nuova vita ogni volta, cambiando addirittura il suo nome.

J. Rizzutelli è una bambina che  per la sua malformazione alla spina dorsale viene rifiutata dalla madre, forse troppo giovane e inesperta per accogliere una responsabilità simile, forse semplicemente troppo egoista e perfezionista. J . viene allevata dalla nonna Umberta come da una seconda madre, e per questo motivo la sua morte manda in depressione J. che comincia a rifiutare il cibo nella speranza di ottenere attenzione da parte dei genitori. Ad un passo dall’abbandonarsi all’oblio però si impedisce per orgoglio di cedere e si riprende. Ma seguono anni duri, in cui i problemi con lo studio si sommano ad altri problemi con il cibo, che ora J. vede come il suo migliore amico. E quando le arriva notizia che la sua perfetta gemella Giovanna che nel frattempo ha fatto fortuna si sta per sposare per J. è il colpo di grazia, e decide di scappare di casa.

A Roma giunge con il nome di J, ma presto diventerà Piccoletta, la barbona che chiede l’elemosina insieme a Benny, l’uomo che la aiuta nei primi tempi di questa sua nuova e difficile vita, portandola con sé nel vecchio edificio scalcinato dove trascina la propria esistenza una comunità di clochard .

Benny è un amico per Piccoletta, fino a quando la notte di Natale, ubriaco, non la violenta.

Piccoletta cambia completamente da allora, il colpo è troppo duro, e lei non sembra capace di poter perdonare e fidarsi ancora di qualcuno.

Per questo si mostra scontrosa con quel giovane pittore dalla pelle scura che in piazza Navona la aiuta evitandole una brutta caduta . Ci metterà parecchio tempo il giovane pittore, un pediatra ruandese in esilio dal suo paese,  a farsi accettare da Piccoletta e a scardinare pian piano le sue difese.

Ed è lui, Nadir,  che salva Piccoletta , in fin di vita, dall’incendio che rade al suolo l’edificio dove vive la comunità di clochard, e la cura giorno per giorno fino a guarire le sue ferite.

È  qui, con l’amore di Nadir, che inizia la vita di Fortuna, l’ultima vita, che la vede affiancare il compagno nel suo difficile ritorno in patria proprio all’alba del genocidio che dal 6 aprile al 17 luglio 1994 vede il massacro di 800.000 persone di etnia tutsi e hutu moderati sotto lo sguardo cieco del mondo.

Fortuna affianca Nadir nel suo lavoro all’ospedale pediatrico, e nel suo impegno per salvare i tutsi sopravvissuti alle incursioni dei miliziani.

E lei, che ha sempre dovuto lottare per vivere, alla fine della sua terza vita si ritrova a lottare per la vita di qualcun altro rifiutandosi di dire ai miliziani che l’hanno catturata i nomi degli hutu traditori,  a lottare per la vita di quei bambini dell’ospedale che negli ultimi giorni del massacro vengono portati in salvo oltre frontiera,

Ecco dipanarsi in questo romanzo che ha tutte le carte in regola per essere definito un vero e proprio Bildungsroman  , una vicenda che ha qualcosa dell’epica moderna , con una struttura circolare che amplia di senso la situazione iniziale.

J . inizia la sua vita in un continuo passaggio dalla casa all’ospedale per una serie di interventi a causa della sua malformazione che la rende una bambina fragile ma con un’immensa voglia di vivere .

Fortuna vive la sua vita, la sua terza vita, in un ospedale, non più però come fragile farfalla, ma come solida roccia per quei bambini sopravvissuti al genocidio,  a cui dona la stessa voglia di vivere che la caratterizzava nell’infanzia.

Quando alla fine giunge in Ruanda, Fortuna non è più la J. fragile e malata della sua adolescenza, che odia la madre per il suo rifiuto, e nemmeno la Piccoletta ferita dalla violenza di Benny.

È una donna guarita dall’amore, che ha imparato cosa significhi la sofferenza, ma anche come sia dolce il perdono.

Ha imparato a guardare una realtà come quella del genocidio del Ruanda, ad  ascoltare i racconti dei sopravvissuti, senza girare le spalle per paura, ma accogliendoli in sé dimenticando le proprie sofferenze per alleviare quelle altrui.

Ha imparato a vivere.

Mi tornano in mente dei versi di Nazim Hikmet:

 

Non vivere su questa terra come un inquilino

O come un villeggiante nella natura.

Vivi su questa terra come se fosse la casa di tuo padre.

[…]

Che i beni della terra ti diano gioia,

che l’ombra e la luce ti diano la gioia,

che le quattro stagioni ti diano la gioia,

ma che prima di tutto,

l’uomo ti dia a piene mani la gioia.

 

Credo che il grande messaggio di Fortuna sia quello di aver vissuto davvero questi versi.

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