venerdì 11 ottobre 2013

" La Corte dei Miracoli" di Flavio Carlini


Sono stata latitante per un po', chiedo venia ... ma mi faccio perdonare ora regalandovi la recensione di un bellissimo libro, "La corte dei Miracoli" di Flavio Carlini, per le Edizioni Haiku


Una scrittura rapida, spezzata, fredda, quasi asettica , anche quando la violenza pura scaturisce prepotentemente dalle pagine.
Una scrittura che è il riflesso della storia che racconta, in cui  ogni relazione, ogni sentimento è trasfigurato dalla realtà del Quartiere; una realtà di morte e brutalità, una realtà di angoscia da cui  nessuno può salvarsi.
Il Quartiere, una Corte dei Miracoli dove si raccoglie quanto la società rifiuta per ipocrisia. Quanto nelle città agisce sotto traccia esplode sotto la luce del sole fumoso del Quartiere , droga, armi, sicari assoldati dalle tre famiglie in guerra per il potere  che si contendono i traffici .
E su questo sfondo tre storie si intrecciano , come fili rossi su uno sfondo grigio. Tre fili rossi accomunati dalla stessa tragicità ineluttabile di chi vive nel Quartiere
Per chi vive nel quartiere non c’è speranza
Un giornalista che cerca di scoprire la verità sulla nascita del Quartiere, e sulla Faida.
Le tre famiglie dei Lancia, dei Villa e dei Montero , le protagoniste della Faida, con le loro lotte di potere.
I due agenti di polizia Valter e Max, forse ultimo baluardo di onestà nel Quartiere.
È proprio quest’ultimo filo rosso a offrirci un’immagine di cos’è il Quartiere; una realtà che ti costringe a fare anche quello che non vuoi, che non ha pietà, non ha rispetto, che riduce alla follia , che distrugge .

L’arte non è la realtà, ma una stilizzazione della realtà. L’arte prende alcuni aspetti della realtà e li ingigantisce per renderli visibili.
E in questo libro è esattamente questo che avviene.
La rappresentazione del Quartiere è  l’affresco a tutta parete di una parte normalmente tabuizzata della realtà, come se dell’immenso Trittico del Giardino delle Delizie di Hyeronimus Bosch vedessimo ingrandita solo la città scura  in alto nel pannello di destra.

Ma la bellezza e la verità de La corte dei Miracoli è proprio nello scoprire i personaggi di questa città scura, personaggi che non sono mostri , ma esseri umani.
Come dice Ristos “ Eppure chissà, là dove qualcuno esiste sena speranza, è forse là che inizia la storia umana , come la chiamano, e la bellezza dell’uomo”.


INTERVISTA ALL'AUTORE 

1) Ciao Flavio, raccontaci il tuo approccio con il mondo dei libri, e le motivazioni che ti hanno spinto a scegliere di scrivere.


Può sembrare un luogo comune ma scrivo fin dall’infanzia. Mi ha sempre affascinato l’idea di raccontare storie e fin da bambino ho potuto apprezzare la lettura. Inventavo e scrivevo storielle ridicole che puntualmente servivo ai miei compagni di classe, ispirato dai fumetti e dai primi libri gialli che leggevo. Mia madre era un’accanita lettrice di Agata Christie, mio zio un grande fan di Arthur Conan Doyle. Grazie a lui soprattutto ho potuto nel tempo approcciarmi al “mestiere” di scrivere: in quanto sceneggiatore ha potuto insegnarmi molte regole della narrazione, indirizzandomi anche verso studi appropriati. Crescendo ho potuto coltivare questa passione mai tramontata, cercando sempre nuovi stimoli e nuove esperienze.
                       

2) Ci sono degli autori a cui ti ispiri e dei libri che preferisci in modo particolare?


Ci sono libri che ritengo dei veri e propri fari della letteratura mondiale come “1984” di Orwell, “La Nausea” di Sartre, “Memorie dal Sottosuolo” di Dostoevskij, “Cuore di tenebra” di Conrad, “Mattatoio 5” di Kurt Vonnegut, “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera e altri. Alcuni libri, invece, penso siano fondamentali nella formazione culturale e individuale di chiunque, per citarne alcuni “Il gabbiano Johnatan Livingston” di Bach, "La fattoria degli animali" di Orwell e “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry. Ci sono poi gli autori da cui cerco di imparare o trarre ispirazione per stile, tematiche e storie narrate, per citarne alcuni: Raymond Chandler, Jack Kerouac, Chuck Palahniuk, John Fante, Charles Bukowski, Richard Matheson. C’è anche da dire che, un po’ per formazione personale, un po’ per suggestioni e tematiche interessanti, non posso prescindere dalla filosofia, in particolare da alcuni autori di riferimento come Eraclito, Nietzche, Foucault, Platone, Hobbes e altri. Vorrei inoltre sottolineare l’importanza del fumetto nella mia formazione letteraria, si tratta di un tipo di narrativa che molto spesso viene sottovalutata ma che ritengo estremamente ricca ed espressiva, in particolare mi sento molto legato ad autori come Hector Oesterheld, Moebius, Hugo Pratt, Andrea Pazienza, Naoki Urasawa, Frank Miller e altri.


3)Scrivere per te è un mestiere? Se per ora non lo è, vorresti che lo diventasse?


In parte è il mio mestiere, tra le varie attività che svolgo mi occupo ormai da diversi anni di scrittura per il web e di sceneggiatura per video di vario genere anche se, ovviamente, in questi casi non parliamo di “scrittura” intesa come “narrativa”. D’altra parte la scrittura, in senso lato, è il mio mestiere in quanto sono uno dei fondatori della casa editrice “Edizioni Haiku” che dalla sua fondazione cerca di promuovere i giovani talenti.


4)Cosa ami della letteratura classica e cosa della contemporanea? E a quale delle due ti senti più legato?


La letteratura classica è una fonte inesauribile di ispirazione, Walt Whitman ci insegna che i classici rappresentano un supporto imprescindibile per chiunque voglia intraprendere una “carriera” letteraria, o in generale per chiunque abbia intenzione di ottenere una migliore comprensione del mondo. La letteratura contemporanea è per stile e tematiche più vicina al comune sentire quotidiano, maggiorente afferrabile, più velocemente comprensibile e facilmente fruibile. Esiste una letteratura contemporanea capace di raggiungere vette altissime, perfettamente in grado di competere con la classica. Credo sia inevitabile sentirmi maggiormente legato alla letteratura contemporanea in quanto, per dire una banalità, appartengo alla mia epoca. Sarebbe anacronistico e insensato scrivere e ragionare con stilemi di epoche remote. Ciò non elimina la letteratura classica dalla mia scrittura, mi permette invece di reinterpretarne i topoi in chiave contemporanea.


5)Cosa pensa del Mercato Editoriale odierno?


Come in molti altri settori, in Italia esistono dei monopoli che è difficile contrastare: le piccole case editrici vengono tagliate fuori dal mercato a causa dei costi di distribuzione, le piccole librerie di quartiere (baluardo storico della piccola e media editoria) chiudono con una frequenza allarmante, distrutte dalla scarsa richiesta e dalla concorrenza dei megastore gestiti dai grandi gruppi editoriali. Megastore che diventano sempre più frequentemente paradisi dell’intrattenimento in senso lato e degli “Smartbox”. Anche questo accade, a mio avviso, per la scarsa richiesta di libri, stesso motivo per cui i grandi gruppi editoriali sono ormai da tempo restii ad investire su nuovi talenti, preferendo autori già quotati o personaggi giunti alla notorietà per vie completamente diverse da quelle letterarie. Le piccole case editrici possono investire pochissimo e devono svolgere un’attenta selezione tra le tonnellate di opere che ricevono quotidianamente. Questa situazione porta gli emergenti molto spesso a rivolgersi a case editrici a pagamento, più o meno truffaldine. Si tratta di editori estremamente disonestri che puntano a stampare il più possibile, trovando i propri guadagni nella pubblicazione di libri sempre nuovi che non saranno mai distribuiti né (versomilmente) letti da nessuno - oltre i parenti e gli amici degli autori stessi. A questo proposito consiglio a chiunque sia interessato all’autopubblicazione di rivolgersi direttamente a un tipografo, non a questi personaggi totalmente privi di etica professionale. Tirando le somme, il mercato editoriale attuale è allo sbando, non punto il dito né contro le grandi case editrici il cui compito dovrebbe essere creare e promuovere cultura, né contro la scarsa richiesta di letteratura da parte degli italiani. La situazione è talmente incancrenita che non può esistere un solo responsabile: è evidente che in Italia la questione culturale è di primaria importanza ed è un problema che dovrebbe essere affrontato con estrema serietà. Una nazione che non fruisce e non produce cultura (e il mercato editoriale è solo una parte di questo problema) è una nazione povera, estremamente arida, incapace di comprendere e interpretare se stessa, figuriamoci fronteggiare una crisi economica. Stiamo pensando a come volare quando abbiamo dimenticato come ci si tiene in piedi.


6)Progetti per il futuro?


Sono attualmente al lavoro su alcuni progetti, in primis un romanzo ambientato tra l’Italia e la Repubblica Ceca, dal titolo ancora da definire. C’è poi un secondo romanzo, un noir “quasi tradizionale” che mi piacerebbe pubblicare a puntate, in qualche modo. Inoltre sto scrivendo la sceneggiatura per una graphic novel attualmente in concorso per un contest del festival internazionale Lucca Comics.


venerdì 14 giugno 2013

Prometto e giuro che a brevissimo uscirà una nuova recensione ... ma intanto ... ecco il link di un giveaway a cui sarebbe un delitto non partecipare! Dunque partecipate partecipate partecipate!

http://dituttoedipiusuilibri.blogspot.it/2013/06/giveaway-vinci-una-copia-cartacea-di.html

venerdì 17 maggio 2013

"Una favola per Asia" di Rossana Lozzio

Oggi propongo il romanzo di Rossana Lozzio, "Una favola per Asia", edito dalle Edizioni Miele

Una favola per Asia

Pare che l’uso di espressioni come “ordire una trama” di una storia risalgano ad un tempo molto antico, al Medioevo, quando le donne si tramandavano l’arte della tessitura di nonna in nipote, e mentre tessevano, costruendo trama e ordito, appunto, raccontavano storie, fiabe, favole, che si perpetuavano così nel tempo. E ancora oggi, abbiamo un gran bisogno che qualcuno ci racconti delle favole, in questo mondo dove non si è più abituati a sognare.

Sognare, come fa la piccola Asia quando legge i libri del suo scrittore preferito, Luca Antonioni. E come un sogno si snoda questa delicatissima trama, in cui la freschezza di una bambina come Asia, che è ancora incantata dalle favole riesce a far nascere una favola reale, l’amore tra la zia Raffaella e lo scrittore, a discapito di tutte le loro paure e angosce.

Asia è una bambina piena di una gioia di vivere contagiosa nonostante sia rimasta orfana molto piccola. È per questo, per supplire alla mancanza della madre, che la sorella del padre, la zia Raffaella, si trasferisce da loro, e cresce la bambina quasi annullando se stessa .

È Asia l’artefice dell’incontro tra Raffaella e Luca;  piccola Cupido, trascina la zia alla presentazione del libro di Luca innescando una serie di meccanismi, che come una valanga travolgono i due.

I fili di questo ordito sono sguardi, parole dette e non dette, parole solo pensate ma già interpretate e tradotte in azione dall’ingenuità disarmante di Asia, per la quale la bella favola dell’amore tra la zia e lo scrittore non ha ostacoli. Sono loro, gli adulti, che gli ostacoli se li creano, ostacoli fatti di solitudine e paure che paiono tanto insormontabili da impedire quasi che questo amore possa svilupparsi.

Anche quando la piccola non è presente in modo diretto con la sua vivacità,  è lei a rimanere il motore dell’azione di queste due calamite che si attraggono e respingono allo stesso tempo, lei l’elemento magico di questa favola, che interviene in aiuto dei protagonisti come un  piccolo folletto .

Con una scrittura dolce Rossana ci prende per mano e ci porta a riconoscere  quello che di favolistico possiamo trovare nella quotidianità; tutto ciò che dobbiamo fare è avere la forza di vederlo e di non aver paura delle favole e dei sogni, e lasciare che qualcuno come Asia sia il tramite per la nostra felicità.

 

 

INTERVISTA

1)       Cara Rossana, cosa ti ha avvicinato alla letteratura? E come nascono le tue storie ?

Da bambina scrivevo già racconti, avevo un quadernone in cui raccoglievo i miei pensieri. Ma era già una passione. Mio padre scriveva testi di canzoni, forse è stato questo che mi ha dato l’imprinting.

Forse la mia è stata anche una rivalsa. Ho dovuto lasciare le superiori, è stata una scelta obbligata, ma appunto per questo sono orgogliosa di riuscire a esprimere questa mia grande passione.

  I miei racconti parlano di sentimenti,  e nonostante possano essere letti a partire dai quindici, sedici anni, non li definirei letteratura per ragazzi, perché secondo me questo genere di letteratura richiede una preparazione e una mentalità particolari, visto che l’età è molto delicata.

Le mie storie prendono spunto da episodi che mi vengono raccontati, che sento in giro ; per il mio lavoro ho occasione di incontrare molta gente e questo mi aiuta nella creazione dei personaggi, in cui di solito mi immedesimo anche un po’. Spesso questi personaggi sono la proiezione di quello che mi piacerebbe essere e non sono, delle vite e dei mondi che vorrei vivere e non posso.  Poi, normalmente quando ho finito di scrivere un romanzo lo lascio decantare e mi concentro su altro.

 

2)      Come nasce “Una favola per Asia”?

È il frutto del primo concorso letterario a cui ho partecipato e che ho vinto. È stato il titolo che mi ha attirato – di solito non credo molto nei concorsi -  “da donna a donna”, e l’argomento, che doveva avere al centro la donna nel suo ruolo all’interno della famiglia e della società. Così ho tirato fuori dal cassetto un romanzo che avevo già scritto una ventina d’anni prima, e così l’ho un po’ modificato e l’ho mandato .Mi piaceva l’idea di una protagonista bambina.

 Ho sorriso nel vedere la me stessa di vent’anni fa , e ho fatto anche un po’ di fatica, perché in un tempo tanto lungo le cose cambiano , cambia anche lo stile, il modo di vedere i fatti , i personaggi, la storia.

Di questo libro poi, mi è molto cara la copertina. Sopra c’è la foto di Camilla, che ha l’età di Asia ed è la mia “nipote dell’anima” figlia di un’amica; per questo ho voluto che fosse in copertina

 

3)      Hai degli autori  che preferisci, a cui ti ispiri?

No, non mi ispiro ad alcun autore. Nel bene e nel male, sono io. Conto molto su chi mi legge,  e da quello capisco cosa va o cosa no in quello che ho scritto, cerco sempre il punto di vista del lettore. Se vengono fuori idee che mi sembrano appropriate le inserisco.

 

4)     Ti senti più legata alla narrativa classica o a quella contemporanea? 

Alla letteratura contemporanea! Non mi piacciono i romanzi storici, né i classici, non mi appassionano.

 

5)      Cosa pensi del mercato editoriale?

Credo che sia un mercato molto difficile, soprattutto per un esordiente, che deve tentare molte strade. È molto difficile all’inizio rimanere con lo stesso editore per diverse pubblicazioni, anche perché spesso le case editrici sono piccole, e devono anche loro far tornare i conti. Anche per questo purtroppo la promozione è quasi tutta affidata agli autori, e gli editori non se ne occupano quasi . Il lato positivo è che ne promuovere il libo l’autore deve entrare in contato diretto con il suo pubblico, e questo è sicuramente un punto di forza degli autori esordienti rispetto ai grandi autori.

C’è  poi anche il fatto che alcune case editrici chiedono un contributo all’autore , e su questo non sono assolutamente d’accordo. L’editore è comunque un imprenditore, e come tale deve assumersi il rischio d’impresa, e deve credere nel suo lavoro, e nel libro che sta pubblicando.

 

6)     Progetti per il futuro?

Ho un’idea ma è ferma, ho qualche difficoltà a iniziare. E poi c’è il libro che uscirà a fine estate per le edizioni Il Ciliegio

 

 

 

mercoledì 20 marzo 2013

"Ossessioni" di Andrea Marzola

Quella che consiglio oggi è una lettura enigmatica ... è la raccolta di racconti " Ossessioni" di Andrea Marzola, edita dalla Prospettiva Editrice.


Recensione

 

Quindici racconti, un unico filo rosso a legarli.

Un filo di Arianna, queste “Ossessioni”,   che ci conduce nel labirinto della mente umana, indagata con acume attraverso una prosa sciolta nei primi tre racconti, che sfocia nei serrati ed enigmatici dialoghi che costituiscono i restanti dodici.

Quindici sfaccettature della stessa parola, ossessione , come quindici raggi di una ruota che gira incessante.

Ogni raggio è  diverso, ma della stessa matrice .

 Esce  da un unico centro, ma termina in un punto diverso della ruota.

La grande abilità dell’autore è proprio in questo suo mostrare l’incredibile varietà e insieme unità di un concetto astratto come quello di “ossessione”, ma che è  nello stesso tempo estremamente reale e concreto, e agisce nella quotidianità, modificandola, e modificandone gli attori  e le loro azioni, declinate secondo un diverso grado di ossessione.

Come un ciclo di tele che raffigurano una scena da diverse angolazioni .

E l’ossessione è spesso più reale di quanto si voglia ammettere , e ci influenza più di quanto , in  fondo, siamo disposti a credere.
 
 
INTERVISTA:
 

1) Gentile Autore, ci racconti il suo approccio con il mondo dei libri, e le motivazioni che l' hanno spinta a scegliere di scrivere.


Sono un autore esordiente, “Ossessioni” è infatti la mia prima opera pubblicata. La mia storia di scrittore è semplice, direi apparentemente banale, ma personalmente tormentata. Prima di iniziare a scrivere, ho letto, ho letto tanto. Oggi ho trent’otto anni, ma sin da ragazzo una folta famiglia costituita da personaggi, trame, spunti, sistemi di pensiero, ha sempre albergato disordinatamente nella mia mente, in attesa di una valvola di sfogo, di una forma per diventare, per essere. Quando, poi, la permanenza si è fatta ingombrante, ho forzatamente messo un po’ d’ordine e ho incominciato a scrivere racconti, alcuni dei quali ho presentato in alcuni siti letterari, firmandoli con vari pseudonimi. Incoraggiato dal discreto successo sul web, mi sono dedicato al progetto “Ossessioni”, il mio primo libro appunto.   

 

2)Ci sono degli autori a cui si ispira e dei libri che preferisce in modo particolare?

 
La base per me sono i classici contemporanei. La mia dimensione è il racconto. Un idea, un concetto, una fiction letteraria, pochi personaggi, il tutto condensato in poche pagine. Quindi, nella mia libreria non possono certo mancare le raccolte di racconti di Kafka, Cechov, Dostoevskij, con alcune eccezioni ,certamente. Il flusso di coscienza di Joyce rimane, comunque, assolutamente il mio modello.

 

3)Scrivere per lei è un mestiere? Se per ora non lo è, vorrebbe che lo diventasse?

 
 Il mio desiderio più intenso è solamente che “Ossessioni” sia il mio primo libro di una discreta  serie.

 

4)Cosa ama della letteratura classica e cosa della contemporanea? E a quale delle due si sente più legato?


 Ricerco la letteratura classica per far respirare l’anima, per stupirmi ogni volta di come l’autore racconti il mio dentro con tanta poesia, per guardarmi esteticamente attraverso l’arte altrui, uso invece la letteratura contemporanea come svago o passatempo, sale d’aspetto, in viaggio, sul divano con la tv accesa, quando si è a casa ammalati e così via.

 

5)Cosa pensa del Mercato Editoriale odierno?

Per un autore emergente sconosciuto ritengo sia impossibile accedere ai grandi gruppi editoriali, anche se si presenta un capolavoro di letteratura. Io ho puntato sulle piccole case editrici indipendenti, informandomi da alcuni addetti ai lavori e su internet. Prospettiva editrice è giovane, indipendente, con un staff appassionato, mi hanno presentato un progetto semplice, ma serio, senza promettermi panzane varie, coinvolgendomi molto in tutti gli aspetti della realizzazione del libro.

 

6)Progetti per il futuro?  


Un’altra raccolta di racconti ovviamente

giovedì 28 febbraio 2013

"Fortuna , il buco delle vite" di Jolanda Buccella


Oggi parliamo del romanzo edito da Ciesse Edizioni  “Fortuna, il buco delle vite” di Jolanda Buccella, giovane esordiente, studentessa di relazioni internazionali a Milano dove si è trasferita da poco .


Alla presentazione del suo libro qui a Milano ho avuto la possibilità di intervistare Jolanda 

1)     Cara Jolanda,  raccontaci il tuo approccio con il mondo dei libri, e le motivazioni che ti hanno spinta a  scegliere di scrivere.

 Ho sempre amato la letteratura, anche a scuola prediligevo le materie letterarie a quelle scientifiche .Però quando ho cominciato a scrivere non pensavo ad un romanzo, non scrivevo per la pubblicazione ma per me stessa, per aiutarmi in un periodo di stallo con l’Università . Questo romanzo è un sogno che si realizza.

                           

2)     Ci sono degli autori a cui ti ispiri e dei libri che preferisci in modo particolare?

 In realtà vorrei non assomigliare a nessuno , vorrei che i lettori riconoscessero una cifra stilistica solo mia, ma ovviamente il mio modo di scrivere risente delle mie letture, tra cui i miei beniamini sono Oriana Fallaci, Isabel Allende, e poi i grandi Tolstoij e Flaubert

 

3)     Cosa ami della letteratura classica e cosa della contemporanea? E a quale delle due ti senti più legata?

 Sicuramente mi sento più legata ai classici, con però un occhio anche agli emergenti e alle novità editoriali. I romanzi che preferisco sono quelli come “Guerra e pace” perché sono ricchi di ideali e contrastano con il relativismo moderno.

 

4)     Cos’è per te il tuo libro ?

 Molti quando dopo aver letto il libro mi chiedono se è autobiografico. No, non lo è se non in minima parte, nella descrizione dei luoghi dell’infanzia della protagonista. Anche se ovviamente quando scrivi c’è una parte di te che rimane nelle righe del tuo libro, e anche per questo motivo hai dei ripensamenti , perché finché non lo vedi stampato, il tuo libro, non ti rendi davvero conto di quanto hai scritto.

La forza emotiva, un percorso di vita travagliato, questo forse è quanto di me ho donato a Fortuna.

 Il resto è fantasia per quanto riguarda la storia, ma dato reale per la Storia. Il libro l’ho scritto in un arco di tempo di cinque anni, che mi sono serviti anche per documentarmi sulle vicende politiche del Ruanda, che per altro nemmeno io avrei conosciuto se non le avessi incontrate per i miei studi di relazioni internazionali.

Gli argomenti che tratto, i temi così forti mi hanno sempre interessato molto. Sono una donna, e come tale sono attenta al nostro ruolo e ai nostri problemi nella società. La volenza che Fortuna subisce , le sue malattie , sono tutti argomenti che sento molto vicini a me.

 

5)     Scrivere per te è un mestiere? Se per ora non lo è, vorresti che lo diventasse?

No, non è un mestiere ma mi piacerebbe che lo diventasse. Per ora è una passione, ma magari potrei riuscire a realizzare questo sogno
 

6)     Cosa pensi del Mercato Editoriale odierno?

 
Penso che se hai la fortuna di scrivere un romanzo d’esordio che viene pubblicato da una grande casa editrice e ottiene successo poi la strada è in discesa. Altrimenti per un autore emergente è tutta una salita, perché gli esordienti non hanno molto spazio nella grande distribuzione. Anche se bisogna tenere conto che non sempre il nome di una grande casa editrice è sinonimo della qualità dei suoi libri.

 

7)     Progetti per il futuro?  

 Sto progettando un nuovo romanzo ma diverso da “Fortuna” , anche se accomunato da tematiche sociali, a me molto care. Penso che verterà sul bullismo femminile adolescenziale.

 
Recensione

 
Fortuna è l’incarnazione di  un grandissimo messaggio positivo : c’è sempre una forza più grande di noi che ci porta ad andare avanti anche quando si pensa di aver toccato il fondo”   

 
In copertina, in un prato fiorito,  una ragazza vestita di bianco. Bianco come la neve,  che Fortuna ama tanto per la sua leggerezza così in contrasto con il corpo malato che deve trascinarsi dietro dalla nascita.

Si dice che si viva una volta sola.

Non è vero.

Bisogna solo avere la possibilità di ricominciare.

E la forza di ricominciare.

Fortuna ha entrambe e così riesce a moltiplicare la sua vita, vivendone tre nello spazio di una.

Tre passi  nel senso dantesco del termine, ovvero tre momenti critici che impongono alla protagonista delle svolte radicali che le danno la possibilità di cominciare una nuova vita ogni volta, cambiando addirittura il suo nome.

J. Rizzutelli è una bambina che  per la sua malformazione alla spina dorsale viene rifiutata dalla madre, forse troppo giovane e inesperta per accogliere una responsabilità simile, forse semplicemente troppo egoista e perfezionista. J . viene allevata dalla nonna Umberta come da una seconda madre, e per questo motivo la sua morte manda in depressione J. che comincia a rifiutare il cibo nella speranza di ottenere attenzione da parte dei genitori. Ad un passo dall’abbandonarsi all’oblio però si impedisce per orgoglio di cedere e si riprende. Ma seguono anni duri, in cui i problemi con lo studio si sommano ad altri problemi con il cibo, che ora J. vede come il suo migliore amico. E quando le arriva notizia che la sua perfetta gemella Giovanna che nel frattempo ha fatto fortuna si sta per sposare per J. è il colpo di grazia, e decide di scappare di casa.

A Roma giunge con il nome di J, ma presto diventerà Piccoletta, la barbona che chiede l’elemosina insieme a Benny, l’uomo che la aiuta nei primi tempi di questa sua nuova e difficile vita, portandola con sé nel vecchio edificio scalcinato dove trascina la propria esistenza una comunità di clochard .

Benny è un amico per Piccoletta, fino a quando la notte di Natale, ubriaco, non la violenta.

Piccoletta cambia completamente da allora, il colpo è troppo duro, e lei non sembra capace di poter perdonare e fidarsi ancora di qualcuno.

Per questo si mostra scontrosa con quel giovane pittore dalla pelle scura che in piazza Navona la aiuta evitandole una brutta caduta . Ci metterà parecchio tempo il giovane pittore, un pediatra ruandese in esilio dal suo paese,  a farsi accettare da Piccoletta e a scardinare pian piano le sue difese.

Ed è lui, Nadir,  che salva Piccoletta , in fin di vita, dall’incendio che rade al suolo l’edificio dove vive la comunità di clochard, e la cura giorno per giorno fino a guarire le sue ferite.

È  qui, con l’amore di Nadir, che inizia la vita di Fortuna, l’ultima vita, che la vede affiancare il compagno nel suo difficile ritorno in patria proprio all’alba del genocidio che dal 6 aprile al 17 luglio 1994 vede il massacro di 800.000 persone di etnia tutsi e hutu moderati sotto lo sguardo cieco del mondo.

Fortuna affianca Nadir nel suo lavoro all’ospedale pediatrico, e nel suo impegno per salvare i tutsi sopravvissuti alle incursioni dei miliziani.

E lei, che ha sempre dovuto lottare per vivere, alla fine della sua terza vita si ritrova a lottare per la vita di qualcun altro rifiutandosi di dire ai miliziani che l’hanno catturata i nomi degli hutu traditori,  a lottare per la vita di quei bambini dell’ospedale che negli ultimi giorni del massacro vengono portati in salvo oltre frontiera,

Ecco dipanarsi in questo romanzo che ha tutte le carte in regola per essere definito un vero e proprio Bildungsroman  , una vicenda che ha qualcosa dell’epica moderna , con una struttura circolare che amplia di senso la situazione iniziale.

J . inizia la sua vita in un continuo passaggio dalla casa all’ospedale per una serie di interventi a causa della sua malformazione che la rende una bambina fragile ma con un’immensa voglia di vivere .

Fortuna vive la sua vita, la sua terza vita, in un ospedale, non più però come fragile farfalla, ma come solida roccia per quei bambini sopravvissuti al genocidio,  a cui dona la stessa voglia di vivere che la caratterizzava nell’infanzia.

Quando alla fine giunge in Ruanda, Fortuna non è più la J. fragile e malata della sua adolescenza, che odia la madre per il suo rifiuto, e nemmeno la Piccoletta ferita dalla violenza di Benny.

È una donna guarita dall’amore, che ha imparato cosa significhi la sofferenza, ma anche come sia dolce il perdono.

Ha imparato a guardare una realtà come quella del genocidio del Ruanda, ad  ascoltare i racconti dei sopravvissuti, senza girare le spalle per paura, ma accogliendoli in sé dimenticando le proprie sofferenze per alleviare quelle altrui.

Ha imparato a vivere.

Mi tornano in mente dei versi di Nazim Hikmet:

 

Non vivere su questa terra come un inquilino

O come un villeggiante nella natura.

Vivi su questa terra come se fosse la casa di tuo padre.

[…]

Che i beni della terra ti diano gioia,

che l’ombra e la luce ti diano la gioia,

che le quattro stagioni ti diano la gioia,

ma che prima di tutto,

l’uomo ti dia a piene mani la gioia.

 

Credo che il grande messaggio di Fortuna sia quello di aver vissuto davvero questi versi.

mercoledì 16 gennaio 2013

"Il club del suicida " di Danilo Puce


Recensione  de “Il club del suicida” di Danilo Puce

 

Un’Apocalisse, per avvenire, non ha bisogno di coinvolgere ogni creatura vivente in questa dimensione fisica. Per essere intesa come fine del mondo, basta che ne coinvolga almeno uno, di mondo.

Questo libro, per me,  è un dipinto.

Ogni personaggio, un colore .

Codacorta è azzurro, azzurro come il cielo nelle mattine di settembre; Dr Mojo è di un bell’arancio carico, Sciacallo invece è di quel blu sporco, quasi grigio, delle giornate di tempo incerto, quando le nuvole sono basse all’orizzonte, non uniformi, ma striate di livido.

Ozymandias è nero, l’assenza di colore.

E Wonder Tom, lui è bianco, l’unità dei colori.

 

 

Così questa storia non è se non un grande quadro, dove i tre pennelli colorati di Codacorta, Sciacallo e Dr Mojo si alternano e intrecciano per indagare insieme sul suicidio sospetto di Wonder Tom. Che cosa ha spinto questo giovane scrittore promettente a suicidarsi dandosi fuoco con la sua macchina in mezzo al Grande Raccordo Anulare? I tre amici, soci di un club letterario on line non vogliono accettare questa verità, e partono alla ricerca di quello che può aver spinto Tom ad un gesto così estremo.

Ma chi è veramente Tom? Così come il bianco contiene tutti i colori , anche la personalità di Tom è luce bianca in un prisma, che ne rivela la  complessità. E a questa complessità non c’è risoluzione.

Il libro sembra mettere a tema, in ogni sua parte, la realtà soggettiva, la realtà che è come la vogliamo vedere ma anche come potrebbe essere, e come è per gli altri.

E Wonder Tom è il personaggio simbolo di questa realtà sfaccettata, che è e non è , e parafrasando Pirandello, lui è colui che lo si crede.

Filo parallelo, non meno importante è quello della scrittura. Wonder Tom, così come gli altri amici, scrive, e la scrittura è vita.  Non è un caso che egli , alla vigilia del suicidio, cancelli tutti i suoi racconti dalla sua pagina del Club dei Diodati.

E aleggia attorno a Codacorta la presenza di un romanzo che sta scrivendo, e che vediamo formarsi e prendere vita, e su Sciacallo la presenza di una misteriosa autrice di racconti, che sembra descrivere si volta in volta quello che lui stesso vive, quasi a dire  come la scrittura possa creare mondi.

Danilo Puce utilizza i suoi personaggi proprio come un pittore usa la tavolozza di colori, ognuno al suo posto, con la sua funzione . E siccome ognuno è un come un colore diverso,  ognuno di loro ha una distinta personalità e la esprime nel suo modo di parlare e di agire, che è differente da quello degli altri ma che unito agli altri diviene un’armonia, acquistando un senso nuovo .

 

E insieme a queste tre linee colorate ce ne sono molte altre, quelle di tutti coloro che hanno conosciuto Wonder Tom, e che si trovano in un modo o nell’altro a far parte di questa enorme tela. Vivace e viva come una tela di Brueghel; vivace e viva come la vita stessa

 

 

INTERVISTA:

 

1) Ciao Danilo, raccontaci  il tuo approccio con il mondo dei libri, e le motivazioni che ti hanno spinto a scegliere di scrivere.

Penso che l’arte salvi la vita, penso che studiare salvi la vita, penso che la bellezza salvi la vita. Ecco perché leggo. Uno dei primi libri che ha formato la mia natura di lettore senziente e indipendente dai testi scolastici è stato Il giovane Holden di Salinger. Scrivo per lo stesso motivo per il quale leggo. Salvarmi la vita. Ho la testa talmente piena di idee e immagini che se non le mettessi su carta mi esploderebbe il cervello.

                                  

2)Ci sono degli autori a cui ti ispiri e dei libri che preferisci in modo particolare?

Sono un fanatico di letteratura anglofona, ma credo che se si parli di ispirazione io potrei citare autori come Palahniuk, Ellis,Welsh. Credo che il loro modo di scrivere e le tematiche da loro trattate servirebbero davvero al nostro Paese. Nel quale, spesso, definiamo “cannibali” dei perfetti vegetariani.

 

3)Scrivere per te è un mestiere? Se per ora non lo è, vorresti che lo diventasse?

Mai domanda fu più appropriata. Sì, voglio proprio che il mio mestiere sia la scrittura. Sembra mi abbiate letto nel pensiero.

 

4)Cosa ami della letteratura classica e cosa della contemporanea? E a quale delle due ti senti più legato?

La letteratura classica è il nostro inestinguibile bagaglio fondamentale. Quello che definiamo ‘classico’ è qualcosa di geniale e inestimabile poiché si tratta spessissimo di opere che hanno superato i loro autori. Nel senso che sono sopravvissute ai loro stessi creatori, continuano a vivere e a comunicare, sono, ancora oggi, in grado di dirci qualcosa. Di descrivere il mondo e l’umanità come fossero nate dalla penna di contemporanei. Chiedono ancora di essere lette e reinterpretate. E questo vale per qualsiasi autore vi appassioni. Da Omero a Leopardi, da Shakespeare a Sofocle. Della contemporaneità cosa devo dire? Di storie che saranno memorabili sì e no per una stagione o per delle casalinghe che si infiammano per della becero-pornografia zuccherosa come un Perugina? Fortuna che qualcuno dei grandi scrive ancora, vedi "Skagboys" di Welsh.

 

 5)Cosa pensi del Mercato Editoriale odierno?

Lo avete già definito voi in questa domanda. È Mercato. Gli editori moderni sono mercanti di lobotomie. Se vai in una delle grande librerie e chiedi un libro di Faulkner ti guardano come fossi un alieno. In compenso possono venderti gommine a forma di coccinelle, penne con le piume, magneti per il frigorifero. Che senso hanno le librerie al giorno d’oggi? Riguardo all’editoria a pagamento (io stesso ricevetti proposte di pubblicazione in cambio di denaro) stendiamo veli pietosi.

 

6)Progetti per il futuro?  

Riguardo la prosa, sogno di completare la trilogia iniziata proprio con Il club del suicida. Seguiranno altri due capitoli, slegati dal punto di vista della trama, ma uniti da tematiche simili e personaggi ricorrenti… Sono già al lavoro sul secondo.

 

 

 

 

Danilo Puce nasce a La Spezia nel 1987. Porta a termine gli studi a Roma nel 2012, laureandosi in Letteratura inglese. Nella stessa città coltiva la sua passione per il teatro fondando una compagnia teatrale, nella quale riveste anche ruolo di drammaturgo e attore. Dopo il progetto editoriale di romanzo episodico noir dal titolo Haunted Mask!, realizzato con la giovane web-press Edizioni Haiku, esordisce nel 2012 con il romanzo Il club del suicida. Parte dei proventi di questo romanzo andranno a finanziare la Michael J. Fox Foundation del celebre attore americano, per la ricerca sul Parkinson.